Modena lo celebra oggi.
Marchionne pure.
Il mondo del web è un tripudio di celebrazioni per i 120 anni dalla nascita di uno degli uomini più importanti per lo sviluppo dell’automobilismo universale. Enzo Adelmo Ferrari nacque a Modena il 20 febbraio 1898 anche se si dice che la madre, la forlivese Adalgisa Bisbini, lo avesse partorito già due giorni prima.
Fu una forte nevicata a impedire al padre Alfredo di registrarlo puntualmente all’anagrafe. Un piccolo “giallo” che accompagnò la vita intera di Ferrari che spesso scherzava su questa data senza peraltro aver mai del tutto voluto chiarire alfine di accrescere la leggenda che si accresceva ogni anno di più attorno alla sua figura e, di conseguenza, avvantaggiando la sua azienda.
Garzone di bottega, certamente studente svogliato e poco propenso alle regole impostegli dalla scuola, Ferrari divenne un genio assoluto capace, solo con carta e penna, di firmare la storia di un brand unico e irripetibile. Da zotico personaggio che trascurava la propria immagine condividendo con operai e meccanici la trascuratezza del tipico mondo dei box anni ‘30 e ‘40, nella seconda parte della propria vita si trasformò, allontanandosi repentinamente dai muretti a bordo pista per ritirarsi nel suo ufficio dal quale governava le proprie squadre in giro per il Mondo, con una eleganza e una appropriatezza di linguaggio da far impallidire il miglior laureato a una scuola di comunicazione.
Secondogenito di casa Ferrari, Enzo perse molto presto – nel 196 – sia il fratello Alfredo Junior detto Dino che il padre, trovandosi ben presto ad affrontare lancia in resta una vita che non si configurava semplice. Messi da parte un innato talento per le arti (come tenore cercò di percorrere la carriera nell’opera lirica, frequentando i teatri e divenendo amico dei principali interpreti dell’epoca, tra i quali Silvio d’Arzo del quale fu amico intimo, ma dovette abbandonare per uno scarso orecchio musicale), avrebbe potuto puntare sulla manualità e sull’officina del padre, che lo sognava Ingegnere, ma che dovette ben presto accantonare le proprie ambizioni di genitore. Purtroppo lo stato di salute del padre, portò l’officina a chiudere i battenti, lasciano Enzo senza un futuro.
Quando ancora la famiglia non era stata colpita dai lutti, provò la carriera di giornalista, scrivendo per la Gazzetta dello Sport un articolo che commentava un Internazionale-Modena 7-1 quando aveva solo 16 anni. Di questa parentesi si ricordò tempo dopo, quando assieme ad alcuni amici fondò il Corriere dello Sport a Bologna.
La meccanica entrò nel suo sangue da quando nel 1908 assistette al Circuito di Bologna, assieme al padre e al fratello. Vinse Felice Nazzaro seguito da Vincenzo Lancia, il top per quegli anni. Fu folgorato e Enzo si convinse che quella sarebbe stata la sua strada. Voleva fare il pilota! Ma c’era da lavorare e dovette rallentare questo percorso. Divenne buon tiratore nelle gare al bersaglio e squisito allevatore di colombi, così come ginnasta dal futuro roseo, tesserato per la società Panaro.
Provò ripetutamente la Diatto di famiglia, anche se non era ancora in età da patente. Alla morte dei congiunti, interruppe gli studi e cercò lavoro come istruttore alla scuola tornitori dell’officina dei Pompieri di Modena. Neppure il tempo di rifiatare da una simile tragedia che nel 1917, in piena Prima Guerra, venne chiamato per il servizio di leva. Fu assegnato al III Artiglieria da montagna, distaccamento Val Seriana. Le sue nozioni meccaniche convinsero un sottotenente piemontese ad assegnarlo alla “Mascalcia”, il reparto che ferra i muli.
Dalle Alpi Orobie, rientrò con una grave malattia che lo costrinse a due interventi chirurgici e facendolo addirittura ricoverare al “Barracano” di Bologna, ospedale nel quale venivano ricoverati i senza speranza. Ma guarì e venne congedato e, grazie a quel sottotenente ottenne una raccomandazione per la Fiat. Nell’inverno del 1918 andò a bussare alla porta della fabbrica torinese venendo respinto. Anni dopo dirà che quella probabilmente fu la sua fortuna, anche se all’epoca accolse quel rifiuto con grande disperazione. L’episodio della panchina innevata nel parco del Valentino, ritornerà molte volte nei suoi racconti, quando abbattuto vi si sedette a piangere per poi, anni dopo, versare ancora lacrime di gioia sulla stessa panchina per la prima vittoria di una sua vettura e l’inizio del successo internazionale.
Chiusa una porta, si apre un portone ed eccolo quindi alla Ormea ditta che fabbricava Torpedo e poi, grazie all’amico Ugo Sivocci, eccolo a Milano alla Costruzioni Meccaniche Nazionali (CMN) per la quale iniziò la carriera di pilota. Iniziò a correre nel 1919, alla prima Parma-Berceto chiudendo quarto nella categoria 3 litri in una corsa vinta da Antonio Ascari.
Tante le corse e le vittorie di un gigante che, grazie ai suoi successi nello sport, giovanissimo divenne dapprima Cavaliere e poi Commendatore. Nel 1920 Ferrari corse anche con l’Isotta Fraschini 4500 tipo Grand Prix 1914, ma, alla Targa Florio dello stesso anno, fu secondo sull’Alfa quattro litri e mezzo, quattro cilindri biblocco. Nel 1921 fu nuovamente secondo di categoria, sempre nella kermesse siciliana, con l’Alfa tipo ES, ma quel podio ebbe un significato molto più importante: Enzo entrò di diritto nella squadra ufficiale Alfa Romeo con cui corse fino al 1924.
All’Alfa sarà collaudatore, pilota, collaboratore commerciale e, infine, direttore del reparto Alfa Corse fino al settembre 1939. Da conduttore otterrà tanti piazzamenti e alcune vittorie significative: vinse la Coppa Acerbo a Pescara nel 1924 e trionfò sia a Ravenna al Circuito del Savio sia a Rovigo al Circuito del Polesine.
Ha ricoperto tutti i ruoli del mondo delle corse fondando una Scuderia che, con lui ancora in vita, ha vinto ben nove campionati del Mondo piloti e otto titoli costruttori.
Ci fermiamo qui, perché la storia di Enzo Ferrari sarebbe lunghissima, ancorchè nota a tutti. Ma è la prima, quella degli insuccessi della vita, che più affascina e che fa riflettere di come un uomo da solo abbia saputo cambiare il mondo dell’automobilismo mondiale, creando un impero del quale, fino all’ultimo, è stato comandante e condottiero che difendeva i proprio dipendenti fino all’ultimo assalto, fosse della Ford o della Fiat. Si spense nel 1988, il 14 agosto, ma ai suoi funerali parteciparono solo una manciata di famigliari strettissimi.
Aveva già perso il proprio figlio prediletto, Alfredo, ma aveva saputo superare anche questa, sapendo trasformare, grazie alla sua attività, una piccola borgata come Maranello, in un luogo conosciuto in tutto il Mondo e frequentato dalle più alte cariche politiche, militari, sportive e religiose dell’intero globo terrestre.
Che dire ancora? Buon compleanno, Drake. Che fosse il 18 o il 20, poco importa. Un mito non ha età e soprattutto, date.

Alessandro Zelioli