Anche nel 2018, come nella passata stagione, piloti e livrea della Ferrari esibiranno un quadrifoglio verde dentro a un triangolo bianco.
Ma di cosa si tratta?
Vabbè, voi che siete esperti di storia dell’automobile saprete certamente a menadito di cosa stiamo parlando. Ma per quelli come me, che non ne sanno nulla, forse, si rende opportuno farne qui breve resoconto.
Nel 1923, l’Alfa Romeo era ancora un’azienda automobilistica in attesa di affermarsi a livello internazionale. I vertici della squadra del Biscione, ancora molto lontani dall’organizzarsi e strutturarsi in una scuderia che cambierà le storie dell’automobilismo mondiale, individuarono nella corsa all’epoca più importante, la Targa Florio, l’obiettivo da conquistare per acquisire la tanto agognata notorietà.
Toccò al progettista piacentino Giuseppe Merosi, preparare la 4 vetture per Antonio Ascari, Enzo Ferrari, Giulio Masetti e Ugo Sivocci.

Nacque così la RL Targa Florio, vettura molto competitiva tanto da piazzarsi prima seconda e quarta alla kermesse. E’ il punto zero da cui l’Alfa Romeo parte per creare la propria leggenda.
La RL Targa Florio era una biposto a siluro, pesava 980 Kg e aveva un motore 6 cilindri in linea da 2.994 cm3 e 3194 cm3, rispettivamente da 88 e 95 Cv. Derivava dall’Alfa Romeo RL del 1921 e ne vennero prodotti solo 5 esemplari appositamente per la corsa siciliana. La versione più potente fu affidata a Ferrari e Sivocci, che erano i piloti più esperti a disposizione dell’Alfa Romeo.
Amici da sempre, Sivocci ex campione del pedale, aiutò Enzo Ferrari a entrare alla CMN e con lui condivise la storia dell’Alfa come pilota, mettendolo di fatto al volante di un’auto di corsa, morendo poi a Monza, in circuito, nella prima edizione deI Gp d’Europa nel 1923.
E proprio su Sivocci, dobbiamo concentrarci per trovare la risposta al quesito di partenza.
Nato ad Aversa nel 1885, Sivocci era considerato una sorta di incompiuto del volante.
Capace e ardito al punto giusto, con competenze tecniche sopra la media, Sivocci sembrava destinato a non affermarsi mai. E come se non bastasse la fama di “sfigato” che lo accompagnava, al pilota salentino per quell’edizione della Targa Florio venne abbinato il 17.
A quel punto, il pilota Alfa Romeo volle giocare la carta della scaramanzia. Quale miglior compagno di viaggio nella corsa che poteva cambiare la sua storia di pilota, se non un bel quadrifoglio?
Ecco dunque Sivocci che, la sera prima della gara, si arma di pennello e colori e disegna dapprima un quadrato bianco al centro del quale dipinge un enorme quadrifoglio verde.
Magia della cabala, Sivocci si aggiudica la Targa Florio (complice anche lo spegnimento della RL di Ascari a pochi metri dal traguardo, poi squalificato per aver tagliato il traguardo con i meccanici a bordo, dopo che questi avevano riacceso l’Alfa a tempo di record) divenendo così un pilota vincente. E’ la prima grande vittoria in campo internazionale di Alfa Romeo.
A questo punto, Sivocci decide di non mollare più il suo portafortuna e a settembre del 1923, parte per il I Gran Premio d’Europa di Monza, ancora col numero 17. All’ultimo giro, durante le prove, finisce fuori strada e muore.
I più attenti, diranno: bel portafortuna!
Attenzione perché le medaglie hanno sempre due rovesci.
Quella P1, l’Alfa realizzata per la gara, non aveva in gara il quadrifoglio disegnato sul cofano, perché un piccolo incidente del giorno prima, aveva costretto i meccanici a cambiarlo senza avere il tempo (o l’accortezza) di ridipingerlo.
Sivocci, impotente di fronte ai tempi di gara, dovette partire lo stesso anche se le cronache narrano di un salentino poco presente prima del via, quasi consapevole del destino che avrebbe incontrato di li a poco.
La notizia della sua scomparsa colpì molto il patron Nicola Romeo, che quell’8 settembre, giorno del decesso di Sivocci, comunicò il ritiro delle Alfa Romeo dalla competizione brianzola, il ritiro del numero 17 che mai più un’Alfa avrebbe portato in gara (e a nessuna auto italiana venne poi più assegnato quel numero funesto. L’ultimo in tal senso, e sappiamo come è finita, fu Jules Bianchì sulla Marussia-Ferrari) e l’adozione per le auto del Biscione, da corsa, del quadrifoglio verde al centro di un triangolo bianco.
Ma perché Sivocci scelse il quadrifoglio portafortuna?
Si dice che questo simbolo fosse adottato già dalla X squadriglia da bombardamento Caproni che aveva appunto il quadrifoglio verde durante i combattimenti.
Ecco che scaramanzia e corse si mischiano. Da sempre simbolo delle versioni più corsaiole anche delle vetture d strada a marchio Alfa Romeo, il quadrifoglio, secondo la mia modesta interpretazione, vuole significare per la Ferrari un emblema di rinnovato vigore agonistico.
Una sorta di messaggio subliminale da esibire verso gli avversari. L’Haka della Ferrari che, anziché lanciare il proprio grido di battaglia, lo esibisce sul cofano ricordando a tutti che la storia non la si cancella, ed che ha nel DNA Enzo Ferrari.
Alessandro Zelioli